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Testimonianze di un allievo

Tita Marzuttini mi apparve, con la sua barba bianca, il suo vestire semplice ma accurato, i gesti misurati e dignitosi, come un signore da rispettare e temere un po'. Mi presentai a lui accompagnato da mio padre. Ero un fanciullo che voleva imparare a dipingere. Frequentai la sua casa - una bella casa con orto e giardino dove entravo con un senso di soggezione - per diversi anni, scoprendo un po' alla volta le qualità del maestro. Era una persona di fine sensibilità e modi garbati, dietro i quali si sentiva l'energia di uno spirito vivace e multiforme, curioso e arguto. Amava la vita e da questo amore, da questa inesauribile riserva di entusiasmo, traeva, a mio parere, la materia prima della sua poliedrica attività.

Se dipingeva era per amore della vita e dell'arte, non per seguire scuole o correnti che lo sollevassero sull'onda effimera della notorietà. Obbediva a questo impulso profondo che animava la sua esperienza di autodidatta e che rappresentava la vena autentica della sua pittura. Ma, come nei gesti e nell'amabile conversare, questa vitalità non si esprimeva mai con accenti vistosi. Era sempre filtrata da una sorta di gentilezza, di garbo meditativo. Ne risultava - nell'uomo come nelle opere - un qualcosa di sobrio e raffinato di sapore ottocentesco. Era un gentiluomo risparmiato dalle lacerazioni culturali del nostro secolo.

Della sua attività artistica figurativa si conosce un intervento critico favorevole di A. Picco, sulla rivista "La Patria del Friuli", del 24 Ottobre 1889; sulla stessa rivista del 9 Dicembre 1913, Ruggero Zotti elogiava un suo «Trittico», presente all'Esposizione degli artisti friulani.

Visse un breve periodo da profugo, durante la Prima Guerra Mondiale, a Milano e poi a Napoli. Si rifugia a Fauglis (Udine) nel 1919; continua a dipingere fino alla morte, avvenuta, ottantenne, nel 1943.  L'artista sentiva il bisogno di confrontarsi con la natura semplice, disertando la città di Udine, dove era nato, per ritrovare la serenità e lenire il dolore subito con la morte del figlio Guido, promettente violoncellista, avvenuta nella battaglia di Bligny.

La rassegna di opere qui esposte non comprende tutto l'arco della sua produttività; purtroppo, delle molte altre sue pitture, non si conosce la locazione.

Il «mondo dell'arte» animato da Tita Marzuttini si stempera nel verismo naturalistico e risente degli influssi degli impressionisti. Sviluppa temi ispirati, «en plein air», alla campagna e ad angoli caratteristici del Basso Friuli.

Si dedicava prevalentemente all'acquerello, tecnica adatta a manifestare il suo gusto e la sua sensibilità. Procedeva senza improvvisazioni, senza fretta, senza strappi; sovrapponeva strati di colore molto liquido, aspettando di volta in volta che si asciugasse e lasciava trasparire, nelle parti chiare, il bianco della carta; otteneva alla fine risultati di eccezionale freschezza e luminosità, come se il colore fosse sbocciato da sé, animato da una legge naturale. La sua produzione artistica si esprimeva anche in altre tecniche: acquaforte, olio, matite, monotipi ottenuti affumicando con la candela lastre di vetro e di maiolica, successivamente graffiate per ottenere un disegno e passate poi al torchio per la stampa.

Oltre che acuto osservatore di fenomeni naturali esterni, era anche abilissimo nel ritrarre scene familiari e umili personaggi: «Il fabbro di Fauglis»; «Signora con gatto»; «Autoritratto». «La Signora Marzuttini sulla sedia a sdraio», manifesta un senso di isolamento silenzioso, immerso nella luce serale, e una immobilità sonnolenta avvolge «I due cuccioli», uno dei rari dipinti ad olio.  Nella simpatia per gli animali rivela un grande calore umano, e parecchi suoi temi sono dedicati ai cani, nei quali si sente una eccezionale espressività. Esemplare è l'acquerello «Impressionante presenza», dove l'artista crea un'immagine dell'animale di forte vitalità, ottenuta con un'efficace forza chiaroscurale: un'immagine imponente, monumentale. Era anche elegante e abilissimo compositore di paesaggi e di fiori, in particolare rose, costruiti con passaggi di sfumature e macchie di colore, per cui raggiungeva delicate tonalità.

La sua pittura oscilla tra la stesura a macchie e il colore tonale; le macchie di colore si inseriscono in un ordine figurativo che si allinea alla tradizione prospettica rinascimentale. Riduce all'essenziale i piani prospettici della realtà oggettiva della visione naturale, per rendere facile la lettura della figurazione. Manifesta un linguaggio, anche se basato su sistemi già esistenti, intenso e ben articolato, ricco di fascino.


Celso Del Frate

(Udine, maggio 1986)

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